La competizione e il confronto sembrano essere insiti nella natura dei genitori: una volta diventati tali, ci si spinge a guardare gli altri come modelli irraggiungibili o come alieni. Ma come se ne esce?
Se ne esce sostituendo alla competizione il confronto e quando si comincia a capire che ogni manifestazione di presunta superiorità/inferiorità non è altro che un modo per nascondere le insicurezze, quelle sì, uguali per tutti.
Ogni bambino è unico e irripetibile. Questa frase sembra banale e quasi scontata ed ogni genitore la conosce perfettamente, ma molto spesso se ne dimentica. Partendo dall’idea che il figlio ideale non esiste, si deve tener presente che esiste, invece, una persona con delle caratteristiche differenti e assolutamente uniche. Ecco perché i confronti sui risultati scolastici, a scuola come nello sport, non devono essere fatti.
I bambini non sono i voti che prendono. Quindi se qualche volta prendono benino e non bene o ottimo, se la maestra mette qualche visto, se addirittura arriva a casa l’invito a rifare qualcosa perché hanno sbagliato tutto: calma e sangue freddo! Non è morto nessuno, domani il sole continuerà a sorgere nel cielo. E, soprattutto, tutti i bambini hanno diritto a fare qualche errore e a loro non piace fare la lista dei voti che hanno preso i compagni. Detestano, secondo la mia esperienza, quando si chiede loro chi ha preso più e chi ha preso le insufficienze, chi ha fatto più/meno errori, chi ha saputo o meno rispondere alle domande degli insegnati, ecc… Essi non amano essere messi in classifica prima o dopo questo o quel compagno, in base ai voti ottenuti.
Non tutti i bambini sono in grado di rispondere alle richieste genitoriali. Infatti, un cattivo voto, la mancata riuscita o un semplice fallimento possono generare angoscia e depressione, oltre che mancanza di fiducia in se stessi e denegazione, proprio perché non sono in grado di essere come è stato loro chiesto: ideali come i genitori vorrebbero. Farlo diventa davvero un peso e l’emergere dei sensi di colpa e di frustrazione che ne derivano ne sono una netta conseguenza a scuola, nello sport, nelle diverse attività artistiche o culturali, nelle relazioni con gli altri i bambini vivono spesso la paura di non essere all’altezza o di essere inferiori ai propri coetanei. Da qui agitazione, stress, nevrosi. Secondo alcuni studi, la competizione non è mai stata così elevata. Il 50 per cento sperimenta l’ansia da prestazione, dovuta alla necessità di raggiungere un risultato positivo, in tutti i campi. Costi quel che costi. Il prezzo che i ragazzi pagano – per aver interiorizzato i desideri degli adulti, in famiglia e nei diversi contesti sociali – è a volte molto pesante.
A scuola di storie come questa ne ho sentite e vissute parecchie, confronti continui tra bambini, insegnanti, cosa e quanto si insegna in una classe o nell’altra…. Il risultato è sempre stato negativo, perché così facendo s’innesca una mancanza di fiducia e credibilità sia da parte dei genitori che degli insegnanti e, molto spesso, si va a rompere il clima di collaborazione.
La mia impressione è che alla radice di tutto ci sia la paura. Si teme che i figli rimangano indietro. Si ha paura che, a meno che non si faccia di tutto per aiutarli e spronarli ad eccellere fin dall’inizio, resteranno mediocri per il resto delle loro vite. Quando si hanno bambini non si possono fare programmi, ma è inevitabile e che quando guardiamo o ascoltiamo gli altri genitori parlare dei loro figli, scatta in tutti un paragone con la situazione di ognuno… e non sempre se ne esce vincitori!
Concludendo ritengo che non si dovrebbe mai dimenticare che ogni bambino deve essere se stesso, con i suoi pregi e difetti, con le sue specifiche qualità che lo faranno eccellere in qualche ambito anziché in un altro… e per questo essere unico ed irripetibile!
“Non è ciò che fai per i tuoi figli, ma ciò che hai insegnato loro a fare per se stessi, che li farà realizzare come esseri umani”. (Ann Landers)
Maura Calzetti