In Svezia, a dicembre, il giorno dura meno di sette ore e il sole verso le tre e mezza di pomeriggio è già tramontato: è questo uno dei motivi per cui gli svedesi sono così ossessionati e innamorati della luce e la celebrano ad ogni occasione.
Una di queste occasioni, forse la più suggestiva e magica, è la festa di Santa Lucia (Sankta Lucia). Durante la festa, una bambina viene incoronata ed è scelta per impersonare la Santa e sfila, seguita da un corteo di coetanei di bianco vestiti e recanti una candela, come un fiume di luce, per le strade della città. I bambini, intonando canti tradizionali, donano biscotti di zenzero (pepparkakor) agli spettatori. E lei, la prescelta, cammina davanti a tutti, leggera e sorridente, indossando una corona di ceri (elettrici ovviamente!), che illuminano la via.
Le varianti e le tradizioni di questa festa, legata a Santa Lucia da Siracusa, si sprecano. La festa, originariamente il 21 dicembre, in occasione del solstizio d’inverno, la notte più lunga dell’anno, nasce come rito legato ai ritmi della madre terra e delle stagioni. Ricordiamo tutti il detto “Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia”. Successivamente la tradizione cristiana ha anticipato la festa al 13, giorno del martirio di Lucia, avvenuto nel 304 durante le persecuzioni di Diocleziano in Sicilia. Questa Santa, patrona un po’ di tutto, dagli oculisti ai ciechi, dagli elettricisti ai calzolai (in alcune città al posto di Sant’Ilario), è particolarmente amata in Italia e festeggiata in numerose città con processioni, riti, celebrazioni, eventi.
Tornando con un balzo in Scandinavia, mi piace ricordare la tradizione che, forse più di ogni altra, ha portato Santa Lucia a essere l’antagonista/alleata di Babbo Natale, e in alcune città dell’Italia del nord (a Parma in particolare) l’eroina dei bambini nella fascia 2-10 anni (o forse oltre?).
Già nel ‘700 era tradizione che nelle famiglie aristocratiche svedesi, la figlia maggiore vestisse i panni di Lucia e servisse la colazione a letto ai genitori la mattina del 13 dicembre. Dal ‘700 scandinavo alla contemporaneità parmigiana, qualcosa è cambiato, ma quel che è rimasto sono i bambini protagonisti e il rito del dono. Chi di noi, bambino più o meno cresciutello, non ha cercato di non addormentarmi la sera del 12 in attesa dell’arrivo della Santa e chi di noi non si è precipitato in cucina o in salotto in tutta fretta la mattina del 13 per vedere se era arrivato carbone o i giochi richiesti?
I tempi, però, galoppano e le tecnologie confondono i più piccoli. Quest’anno mia nipote, da alcuni giorni preoccupata ed un po’ incupita, ha finalmente svelato che la causa di tanta preoccupazione era il fatto di non aver scritto nella letterina per Santa Lucia, il codice dell’allarme di casa: “Non riuscirà a portarmi i gioielli delle Winx!”: l’affermazione disarmante. La mamma, allora, con spirito pronto, ha promesso di inviare un SMS alla Santa con il codice di disinserimento e inserimento dell’allarme: “Così quando ha finito le sue consegne, possiamo continuare a dormire tranquilli!”. Ottimo! Non consiglierei a nessuno di scrivere i codici segreti nelle lettere a Santa Lucia, ma, sicuramente, di continuare ad alimentare questa tradizione che, almeno a titolo personale, è sempre stata una delle più affascinanti, misteriose e fantastiche della mia infanzia.
Massimo Carta
Presidente APS ParmaKids