In un pomeriggio come tanti, seduti accanto ai bambini, diamo un’occhiata ai compiti, magari facciamo qualche domanda per capire se la lezione è stata appresa… E dopo aver chiesto di ripetere le tabelline o simulato un’interrogazione in storia o scienze, a chi non è mai successo di pensare: “Com’è possibile, non te lo ricordi? Forse non sei stato abbastanza attento… hai già dimenticato quello che hai letto?” e un po’ preoccupati ci domandiamo: “Ma cosa avrà nella testa?” Ormai da qualche anno, le neuroscienze hanno iniziato a fare luce sui processi grazie ai quali il cervello acquisisce le conoscenze.
Sfruttando tecniche di neuroimmagine sempre più sofisticate (in primis la risonanza magnetica funzionale, che consente di rendere visibile l’attivazione delle diverse aree cerebrali nel momento preciso in cui si esegue una certa azione) è diventato possibile ricostruire i meccanismi con cui le informazioni si imprimono nella mente. Tra le molteplici implicazioni pratiche, queste scoperte permettono di guidare insegnanti, riabilitatori e genitori verso una pedagogia dell’apprendimento sempre più efficace: vi propongo dunque una breve ‘visita’ all’interno del cervello che impara.
Alla base di tutto c’è il neurone, la cellula ‘mattone’ con cui si costruiscono gli apprendimenti, che si tratti di imparare a leggere o ad andare in bicicletta. Il cervello umano ne possiede quasi 100 miliardi, organizzati in reti neurali, veri e propri circuiti su cui viaggiano informazioni di ogni tipo, in una dinamica di connessioni che si creano, si rinforzano o si indeboliscono a seconda delle sollecitazioni ricevute. Possiamo paragonare il cervello a una foresta molto fitta, in cui i sentieri più battuti finiscono per formare delle piste durevoli, mentre quelli poco frequentati dopo un po’ di tempo si chiudono e scompaiono.
Una proprietà fondamentale di questo sistema è la ‘plasticità cerebrale’, ovvero la capacità di adattarsi agli stimoli dell’ambiente. Quando impariamo, la struttura del nostro cervello si modifica: dei neuroni si creano o si ‘allungano’ per connettersi ad altri neuroni in modo più efficace, fino a formare delle ‘autostrade’ su cui le informazioni circolano sempre più velocemente.
La regola di base è semplice: se una connessione (detta sinapsi, in linguaggio tecnico) è stimolata regolarmente, viene mantenuta, se viceversa non è utilizzata, viene soppressa. Questo il motivo per cui è importante, per memorizzare a lungo termine, tornare più e più volte su un argomento.
Ma qual è il modo migliore per farlo? Siamo abituati a pensare che l’imparare sia legato allo studio, e le verifiche servano solo a valutare quanto è stato appreso. In realtà, il riportare in memoria i contenuti di una materia per svolgere un test ha un ruolo attivo nel consolidare l’apprendimento, anzi si può dimostrare addirittura più efficace rispetto al ripasso. Come mai? Perché la rilettura della lezione è un’attività passiva, mentre il dover rispondere a domande implica un coinvolgimento attivo, benefico per il rinforzo delle connessioni tra neuroni.
Molto meglio allora per i ragazzi spendere meno tempo a rileggere la lezione e provare piuttosto a simulare una verifica, con i compagni o anche con i genitori, purché in modo ludico e senza stress.
Non dobbiamo dimenticare che le emozioni giocano un ruolo importante nell’apprendimento. Grazie alle ricerche dei neuroscienziati, sappiamo che quando si è contenti, ad esempio per essere riusciti a svolgere un esercizio, il cervello reagisce attivando i circuiti della ricompensa attraverso la produzione di dopamina, il neurotrasmettitore legato alla motivazione; questa scarica chimica si traduce nella creazione o nel consolidamento delle sinapsi. Lo sforzo compiuto nello studio dovrebbe perciò essere sempre gratificato – a prescindere dal risultato ottenuto! – così da attivare il circolo virtuoso ‘mi impegno, sono ricompensato, ho voglia di impegnarmi ancora’.
Un’ultima nota: la creazione di nuove connessioni tra neuroni avviene in un tempo che varia da qualche minuto a qualche ora, ma il consolidamento richiede un ciclo di 24 ore, in cui il riposo ha un ruolo fondamentale. Studi condotti su gruppi di persone alle quali era stato chiesto di imparare a suonare un brano al pianoforte hanno evidenziato che i soggetti cui veniva fatto fare un riposino riuscivano poi a suonare meglio, rispetto a coloro che restavano svegli. In queste persone, l’attivazione delle aree cerebrali dedicate alla pianificazione dei movimenti della mano avveniva anche durante il sonno, alla pari di quando stavano suonando lo strumento!
La riattivazione neuronale che si ha nella fase di riposo contribuisce a consolidare l’apprendimento, ecco perché è importante organizzarsi in anticipo in previsione di una verifica facendo varie ripetizioni in giorni diversi, in modo da dare al cervello il tempo di consolidare le connessioni tra neuroni.
Nonostante la ricerca abbia ancora molta strada da compiere, penso sia importante condividerne i risultati, in primo luogo con i ragazzi, molti dei quali ancora possiedono l’idea preconcetta che l’‘intelligenza’ sia fissata alla nascita e non modificabile… al contrario le neuroscienze hanno dimostrato l’incredibile plasticità del cervello, che non smette di trasformarsi, non solo nell’arco di una giornata, ma durante tutto il corso della vita!
Le informazioni riportate in questo articolo sono tratte dagli studi di Daniel Choquet (neuroscienziato dell’Istituto Interdisciplinare di Neuroscienze dell’Università di Bordeax), Sylviane Valdois (ricercatrice del Laboratorio di Psicologia e Neurocognizione dell’Università di Grenoble) e Steve Masson (direttore del laboratorio di ricerca in Neuroeducazione dell’Università del Québec).
Irene Spolveri
Logopedista over 6
Se avete domande, curiosità o desiderate approfondimenti sull’argomento potete scrivere alla nostra esperta Irene all’indirizzo irene.spolveri@parmakids.it